Una tutela multivello del lavoratore 'abusato' tra delitti di schiavitù, di servitù e di sfruttamento

AuthorFilippo Bellagamba
ProfessionProfessore Associato di Diritto penale Università di Siena
Pages257-272
UNA TUTELA MULTIVELLO DEL LAVORATORE
“ABUSATO” TRA DELITTI DI SCHIAVITÙ, DI SERVITÙ
E DI SFRUTTAMENTO
F B
Professore Associato di Diritto penale
Università di Siena
Sommario: I. Le nozioni di schiavitù e di servitù e le relative fattispecie di reato; II. Il
delitto di sfruttamento del lavoro tra servitù e lavoro forzato; 1. La distanza
tra ordinamento sovranazionale ed ordinamento domestico con riferimento
al lavoro forzato; III. Il rapporto tra l’art. 600 e l’art. 603 bis c.p. ed il grado di
efficienza dell’attuale apparato repressivo.
I. LE NOZIONI DI SCHIAVITÙ E DI SERVITÙ E LE RELATIVE
FATTISPECIE DI REATO
In un pregevole manuale di Parte speciale, quando ci si accosta alla Sezione
I del Capo III del Titolo XII del codice penale, che, come noto, si occupa dei
delitti contro la personalità individuale, si osserva icasticamente come chi si
approccia a tale tematica faccia ingresso in un «mondo popolato da mostri
che infieriscono su vittime indifese, negando loro la qualità di esseri umani ed
impiegandole come cose, eventualmente da buttare via dopo l’uso» 1.
Ed in effetti è proprio di questo che stiamo parlando, ovvero di fatti che
offendono non soltanto la libertà fisica o morale del soggetto passivo, la vita o
1 Così S. S, Delitti contro la personalità individuale, in R. B-M. P-
S. S, Lineamenti di parte speciale, Torino, 2022, p. 121.
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l’integrità fisica, ma l’essere umano in quanto tale, nella sua stessa dimensione
ontologica, tanto che non è un caso se lo Statuto istitutivo della Corte penale
internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998, abbia ascritto la riduzione
in schiavitù tra i crimini contro l’umanità.
Sul piano del diritto positivo ci si confronta con cinque diverse fattispecie
incriminatrici, rispettivamente rubricate agli artt. 600, 601, 601 bis, 602 e 603 bis
c.p., che si pongono un triplice obiettivo: a) adeguare la legislazione nazionale
ai numerosi documenti internazionali succedutisi nel tempo, tra i quali
particolare menzione meritano la Convenzione internazionale sull’abolizione
della schiavitù, promossa dalla Società delle Nazioni ed adottata a Ginevra il
25 settembre 1926 (resa, poi, esecutiva nel nostro paese dal r.d. 26 aprile 1928,
n. 1723); la Convenzione supplementare di Ginevra del 7 settembre 1956,
attuata in Italia dalla L. 20 dicembre 1957, n. 1304; la Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo, approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948, cui ha fatto
immediatamente sèguito la Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 ed, infine, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato a New
York il 16 dicembre 1966; b) operare una più puntuale tassativizzazione delle
norme di riferimento, cercando di riempire le ricorrenti nozioni di soggezione
e di sfruttamento, di per sé dai contorni piuttosto vaghi, attraverso la descrizione
di meno indetermimate modalità realizzative della condotta tipizzata; c)
contrastare più efficacemente i più moderni traffici schiavizzanti, divenuti nel
tempo appannaggio della criminalità organizzata di stampo transnazionale.
Nella necessità di contenere i tempi della relazione e, dunque, di definire
il perimetro delle riflessioni che andrò a sviluppare, anticipo sin da ora che
concentrerò la mia attenzione sui delitti di riduzione o mantenimento in
schiavitù o servitù (art. 600 c.p.), assumendo come peculiare angolo prospettico
quello di tracciare tra i due un’actio finium regundorum, che consenta di far
emergere i tratti comuni e quelli differenziali, e su quello di intermediazione
illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603 bis c.p.), più noto come caporalato.
Gli aspetti problematici che si profilano con riguardo alla fattispecie di
cui all’art. 600 c.p. sono essenzialmente due ed attengono: 1) alla definizione di
schiavitù e di servitù; 2) ai rapporti tra esse, essendo, come vedremo, prevalenti
gli elementi di diversificazione rispetto a quelli di identità e derivandone
ricadute applicative di assoluto rilievo sul momento consumativo delle rispettive
ipotesi di reato.
1) Muovendo dal problema della definizione, anche tacendo sulla
pluralità di accezioni sociologiche, antropologiche ed economiche della
nozione ed indugiando esclusivamente sul suo significato giuridico, dall’art. 1
della Convenzione di Ginevra si trae che la schiavitù è «lo stato o la condizione di

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