Diritto e dolore

AuthorLuigi Ferrajoli
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1. Dolore inflitto, dolore subito

In un saggio di qualche anno fa, Salvatore Natoli ha proposto di ripensare il diritto sulla base dei nessi -in quanto cura o in quanto sanzione- da esso intrattenuti con il dolore.1Ho trovato assai feconda e stimolante, in particolare, la distinzione da lui suggerita tra due tipi di dolore: il "dolore subito" e il "dolore inflitto", l’uno naturale, l’altro prodotto dagli uomini. Sono i due tipi di dolore che corrispondono, a me pare, ai due mali nella cui eliminazione, o riduzione possiamo riconoscere la ragione d’essere o giustificazione del diritto.

Non si tratta di una semplice metafora, bensì di un’efficace raffigurazione del ruolo garantista del diritto. Mi sembra infatti che queste due figure del dolore offrano un’ottima chiave di lettura delle forme e delle linee di sviluppo del moderno Stato costituzionale di diritto. Tutti i diritti fondamentali sono in questa chiave configurabili come diritti all’esclusione o alla riduzione del dolore. Precisamente, i diritti di libertà, dalle libertà fondamentali al diritto all’integrità personale, consistendo in aspettative negative o in immunità da lesioni altrui, sono interpretabili come diritti volti a prevenire il dolore inflitto. Al contrario, tutti i diritti sociali alla sussistenza e alla sopravvivenza, dal diritto alla salute ai diritti al lavoro, all’istruzione e alla previdenza, consistendo in aspettative positive, ossia a prestazioni pubbliche, sono interpretabili come diritti volti a ridurre il dolore subito. Possiamo aggiungere che la prevenzione del dolore inflitto, cioè del male artificiale provocato dagli uomini, avviene tramite il diritto penale e la regolazione e minimizzazione della reazione punitiva ai delitti. La riduzione del dolore subito, in senso lato naturale, come le malattie, l’indigenza, l’ignoranza, la mancanza di mezzi di sussistenza e simili avviene invece tramite la legislazione sociale e le politiche di Welfare.

Possiamo insomma leggere l’intera storia del diritto moderno come la storia dello sviluppo della sfera pubblica quale sistema di risposte, in forme sempre più complesse e articolate, a questi due tipi di dolore o di male distinti da Natoli. Certamente il diritto moderno, quello dello stato liberale di diritto, nasce sul terreno del diritto penale, come Stato e diritto minimi volti a organizzare, a tutela dei diritti di libertà e di immunità, due tipi di risposte al dolore inflitto, corrispondenti ai due scopi giustificanti nel diritto penale nei quali ho identificato il paradigma del diritto penale minimo:2 da un lato la

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minimizzazione del dolore inflitto dagli individui nei rapporti tra loro, tramite la prevenzione e la punizione come delitti delle offese da essi recate ai diritti altrui; dall’altro la minimizzazione del dolore inflitto dallo Stato sotto forma di pene, tramite i limiti della stretta legalità, dell’offensività, della materialità, della colpevolezza, dell’onere accusatorio della prova e del contraddittorio imposti, sotto forma di garanzie penali e processuali, sia alla legislazione che alla giurisdizione penale.

Ma il diritto contemporaneo si è altresì sviluppato, nel secolo passato, nelle forme dello stato sociale di diritto, cioè quale Stato e diritto massimi volti a organizzare, a tutela dei diritti sociali, un sistema di risposte al dolore subito e in senso lato "naturale": alle malattie tramite il diritto alla salute, all’ignoranza tramite il diritto allo studio, all’indigenza tramite i diritti all’assistenza e alla previdenza. Il paradigma dello stato di diritto è sempre lo stesso: lo sviluppo di una sfera pubblica a garanzia di quell’insieme di diritti fondamentali stipulati, quali scopi o ragion d’essere del diritto e dello Stato, in quei patti fondativi della convivenza sociale che sono le costituzioni.

Per questo -per le analogie strutturali, pur nella diversità di contenuti, tra le tecniche di garanzia contro il male inflitto e quelle contro il male subito- è particolarmente feconda l’analisi del modello liberale dello stato di diritto quale si è venuto formando sul terreno del diritto penale. Quello che ho chiamato "diritto penale minimo" altro non è che il sistema di norme idonee a garantire questa duplice minimizzazione della violenza e del dolore inflitto: del dolore inflitto dai delitti e di quello inflitto dalle pene. Il diritto penale si giustifica, alla stregua di questo criterio, se e solo se previene e minimizza, tramite le sue norme sostanziali, le offese e le sofferenze inflitte dai delitti e, tramite le sue norme processuali, le offese e le sofferenze inflitte dalle reazioni punitive ai delitti. E non è affatto detto che, di fatto, esso realizzi queste due finalità di prevenzione e minimizzazione del dolore che sole lo giustificano e lo legittimano. La storia dei processi e delle pene -pensiamo all’inquisizione, ai supplizi, alle gogne, alle torture giudiziarie- è stata molto più cruenta ed infamante per l’umanità dell’intera storia dei delitti. In questo senso, sono perciò ideologiche tutte le dottrine di giustificazione a priori della pena: quelle cioè che giustificano il diritto penale in quanto tale, con lo scopo in astratto della prevenzione dei reati o della difesa sociale o della rieducazione del reo, al di là del concreto accertamento dell’effettiva realizzazione dello scopo da esse proclamato. Una giustificazione logicamente consistente può essere infatti solo a posteriori...

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