Evoluzione della comunità internazionale e conseguenti modifiche della giurisdizione internazionale

AuthorAngela del Vecchio
Pages235-296

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@1. l’evoluzione nel tempo dei concetti di arbitrato e di giurisdizione internazionale.

Entrambi i prospettati fattori che stanno mutando la struttura dell’attuale comunità internazionale, cioè quello della globalizzazione con la connessa tendenza a limitare le sfere di competenza degli Stati, e quello della localizzazione, che viceversa si muove alla ricerca di risposte adeguate a situazioni di natura particolare, essenzialmente caratterizzate ratione loci, tra l’altro contribuiscono fortemente, per i motivi già indicati, alla proliferazione degli organi giurisdizionali internazionali, con problematiche incidenze anche sulla evoluzione e trasformazione della giurisdizione internazionale.

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Questi fenomeni evolutivi traggono in qualche modo origine dalle indicate tendenze alla proliferazione dei tribunali internazionali, ma inevitabilmente finiscono con il determinare una serie di conseguenze di amplissima portata, che vanno, tra l’altro, dalla tipologia delle relative competenze, alla soluzione dei connessi conflitti di giurisdizione, agli effetti delle rispettive pronunce, così da richiedere per ciascuna questione un’analisi specifica. Appunto riguardo a tali aspetti si pone una serie di interrogativi che finiscono con il concernere gli stessi caratteri distintivi della giurisdizione internazionale ed i connessi limiti della sua estensione, lasciandone peraltro intravedere prospettive diverse, nonché possibili mutamenti di funzione.

Per un lungo periodo, in realtà, la dottrina internazionalistica non ha ritenuto, dopo gli studi fondamentali in particolare del secondo dopoguerra, di doversi soffermare in maniera specifica sul concetto di giurisdizione internazionale, ma negli ultimi tempi, sia il sopravvenire degli importanti elementi di mutamento della comunità internazionale e della connessa costituzione di numerosi nuovi tribunali insieme al progressivo affermarsi in taluni casi di nuovi tipi di processo e di tutela giurisdizionale sembrano aver rimesso in discussione l’intero tema della giurisdizione internazionale, a partire dalla sua stessa configurazione.

Il problema va dunque affrontato su basi diverse dal passato essenzialmente a causa dei molteplici e, come si è visto, variamente modellati meccanismi di soluzione delle controversie internazionali (663), che contribuiscono, talvolta, a fare apparire più rispondenti, per taluni aspetti, alla realtà contemporanea gli organi giurisdizionali rispetto ai più tradizionali organi arbitrali. Ne è scaturito un nuovo interesse alla distinzione tra il concetto di arbitrato e quello di giurisdizione internazionale, in connessione appunto con il mutamento stesso della società internazionale.

A questo proposito, è ben noto in dottrina che i due concetti di arbitrato e di giurisdizione si sono formati nell’ordinamento internazionale in tempi diversi e tra loro distanti e che il primo di essi ad essere formulato è stato quello di arbitrato (664), in quanto “la concezione arbitrale è

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quella che meglio si adatta al procedimento con cui la risoluzione di una determinata controversia internazionale viene deferita dalla concorde volontà delle parti al giudizio di un individuo o di un collegio” (665). Invece del concetto di giurisdizione internazionale si è iniziato a parlare soltanto nel XX secolo, distinguendolo in modo più o meno netto dall’arbitrato, sulla base della considerazione che un processo può essere promosso e svolgersi indipendentemente dalla necessità di uno specifico accordo fra le parti e quindi per volontà di una sola di esse (666).

D’altra parte, il ricorso alla procedura arbitrale è divenuto molto frequente nel XIX secolo e per tale motivo nel corso della I e della II Conferenza della Pace, riunite all’Aja rispettivamente nel 1899 e nel 1907 è stata elaborata la disciplina ancora vigente. In particolare, l’art. 37 della I Convenzione per la soluzione delle controversie internazionali definisce l’arbitrato: “il regolamento di controversie fra Stati per opera di giudici di loro scelta e sulla base del rispetto del diritto. Il ricorso all’arbitrato implica l’impegno di assoggettarsi in buona fede alla pronuncia” e si prevede anche un organo permanente di giustizia arbitrale: ossia la Corte permanente d’arbitrato, tuttora esistente (667).

Alla luce della disciplina elaborata nelle due Conferenze e considerando che il tribunale arbitrale fonda la propria legittimazione e com-Page 238petenza soltanto sulla volontà delle parti, la dottrina dei primi anni del Novecento aveva ritenuto di costruire l’istituto dell’arbitrato su basi strettamente negoziali. Sosteneva infatti Anzilotti che “due Stati possono convenire di risolvere una controversia assumendo a contenuto del loro accordo ciò che sarà stabilito da un terzo nei modi e alle condizioni determinate dagli Stati medesimi”; si avrebbe così “un negozio giuridico internazionale che determina in modo incompleto il rapporto tra le parti, ma stabilisce in pari tempo che la determinazione sarà integrata da un ulteriore atto volitivo deferito ad un terzo” (668), che è appunto l’arbitro. Quindi, secondo la suddetta interpretazione, i profili caratterizzanti l’arbitrato internazionale risultavano essenzialmente due: a) i giudici scelti direttamente dalle parti, b) le clausole pattizie, poste a fondamento dell’arbitrato, costitutive di obblighi soltanto per le parti e non creative di diritto obiettivo.

Invece, secondo alcune opinioni, in diritto internazionale non sarebbe del tutto corretto parlare di giurisdizione internazionale, perché – è stato sostenuto – vi sarebbe una parziale sovrapposizione tra i criteri identificativi dell’arbitrato e quelli della giurisdizione (669), tanto che, salvo nel caso della Corte di giustizia delle Comunità europee, la “natura” degli organi giurisdizionali attuali resterebbe pur sempre quella arbitrale. Infatti, come l’arbitrato, anche la giurisdizione avrebbe fondamento esclusivamente volontario e sussisterebbe soltanto nei confronti dei soggetti che ne promuovono l’istituzione e soltanto in ordine alle controversie per le quali appunto è istituita (670).

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Tale opinione non è peraltro accolta dalla maggior parte della dottrina che tenta di pervenire ad una distinzione precisa e condivisa tra arbitrato e giurisdizione. Alcuni colgono la differenza nei rispettivi diversi moduli organizzativi, tra essi Kelsen, che, definendo l’arbitrato, metteva in luce che “the members of other international tribunals – so-called tribunals of arbitration – are appointed partly directly, partly indirectly, by the States that are parties to the disputes to be settled by the tribunals” (671).

Ai fini della distinzione tra arbitrato e giurisdizione, la diversità del profilo organizzativo è ritenuta essenziale anche da Rosenne, che appunto sostiene: “The measure of the difference between arbitration as a form of the pacific settlement of disputes leading to binding decision by disinterested third parties applying judicial or quasi-judicial techniques and judicial settlement by the International Court lies in the existence of this latter as a permanent and pre-constituted institution” (672).

Nella giurisprudenza internazionale, in particolare, è rilevante il contributo della Corte europea dei diritti dell’uomo (673) e della Corte di giustizia delle Comunità europee su alcuni aspetti specifici della giurisdizione. Quest’ultima ha proposto ripetutamente – come è noto – una nozione di giurisdizione, che fa riferimento ad una serie di requisiti che l’organo deve presentare: l’origine ex lege, il carattere permanente, l’obbligatorietà della giurisdizione, l’indipendenza e la terzietà rispetto alle parti, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e non si pronunci secondo equità (674).

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Diversamente dall’arbitrato che presenta, sul piano strutturale, la mancanza del requisito della costituzione permanente dell’organo chiamato a giudicare e la mancanza di una struttura permanente di cancelleria; sul piano funzionale, l’assenza di norme di procedura fissate in precedenza al di fuori della volontà delle parti, oltre agli alti costi finanziari, che ricadono soltanto sulle parti della controversia, a favore della scelta per il regolamento giudiziario viene fatta valere una serie di elementi positivi. Innanzi tutto la precostituzione dell’organo (675), l’esistenza di norme di procedura prestabilite, una giurisprudenza agevolmente individuabile, la rapidità di accesso, soprattutto nei casi in cui si richieda l’adozione di provvedimenti urgenti. Da ultimo, il fatto che i costi amministrativi di funzionamento – ad esempio della Corte internazionale di giustizia, dei due Tribunali ad hoc per la ex Iugoslavia e per il Ruanda – siano a carico del budget delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni internazionali e non gravino sulle parti è un ulteriore elemento che contribuisce a rendere meno oneroso il ricorso alla giurisdizione rispetto all’arbitrato per i Paesi dalle limitate possibilità finanziarie.

In ogni caso, al di là di distinzioni sul piano teorico, si rileva che, sia pure con una certa propensione verso la giurisdizione, entrambi i sistemi di soluzione delle controversie coesistono nell’ordinamento

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internazionale vigente e sono molteplici i trattati bilaterali e multilaterali che in caso di conflitti prevedono il ricorso all’arbitrato as one of a number of methods, o come alternative al ricorso ad un organo giurisdizionale, oppure come sole method o anche come residual method di soluzione, qualora gli altri sistemi fossero falliti.

Sono altresì anche numerosi i trattati bilaterali e multilaterali che prevedono il ricorso ad organi giurisdizionali internazionali, intendendo con il termine “giurisdizione” o “judicial settlement” una corte o un tribunale precostituito, un sistema procedurale e strutture amministrative preesistenti e non determinate dall’accordo tra le parti della...

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