I limiti imposti agli stati nell'applicazione di misure sanzionatorie nei confronti dei giornalisti

AuthorCastellaneta, Marina
Pages177-217
CAPITOLO QUARTO
I LIMITI IMPOSTI AGLI STATI
NELL’APPLICAZIONE DI MISURE
SANZIONATORIE NEI CONFRONTI
DEI GIORNALISTI
SOMMARIO: Le caratteristiche delle misure sanzionatorie. - 2. Le sanzioni detentive – 3. Le
misure pecuniarie. - 4. Le misure cautelari e le altre misure con effetti limitativi sulla li-
bertà di stampa. - 5. L’applicabilità delle misure sanzionatorie all’informazione via web.
– 6. La rettifica come limite all’applicazione di misure sanzionatorie. - 7. L’incidenza dei
limiti individuati dalla Corte europea sul sistema sanzionatorio previsto dall’ordina-
mento italiano.
1. Le caratteristiche delle misure sanzionatorie
La previsione di doveri per i giornalisti, necessari alla tutela di altri diritti
fondamentali e a garantire un’informazione responsabile, comporta, in caso di
violazione degli stessi, l’operare di rimedi a salvaguardia di altri individui (come
nel caso degli obblighi di rettifica) e di interessi fondamentali per la collettività,
nonché di sanzioni che comportino l’attribuzione di responsabilità e che abbiano
una funzione deterrente di comportamenti non corretti.
Gli stessi atti internazionali a tutela dei diritti dell’uomo, come si è visto, ri-
conoscono agli Stati la possibilità di limitare la libertà di espressione, non speci-
ficandone tuttavia i mezzi, la cui individuazione è lasciata alla discrezionalità
degli Stati. Peraltro, siffatta discrezionalità è limitata dai parametri giurispruden-
ziali esaminati nel capitolo terzo.
Taluni atti, come la Carta africana e la Carta europea dei diritti fondamentali
non indicano la possibilità di apporre restrizioni alla libertà di espressione, avvi-
cinandosi, così al testo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che si
limita ad affermare il diritto pur richiamando, all’art. 29, in via generale e in
modo non specifico per la libertà di espressione, l’esistenza di doveri e la possi-
bilità di apporre limitazioni. Il Patto sui diritti civili e politici, invece, prevede la
possibilità di restrizioni funzionali alla tutela di altri diritti come la reputazione
altrui (art. 19). Nella stessa direzione risulta orientata la Convenzione americana
che indica l’esistenza di responsabilità per colui che esercita la libertà di espres-
sione, sottendendo la possibilità per gli Stati di prevedere limitazioni per tutelare
178 Capitolo IV
la reputazione altrui o valori come la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la
salute e la morale. La Convenzione europea sembra ammettere, considerato il
dato letterale della norma, maggiori spazi per la restrizione del diritto. L’art. 10,
par. 2, infatti, richiamando doveri e responsabilità, prevede l’eventuale sottopo-
sizione della libertà di espressione «a determinate formalità, condizioni, restri-
zioni o sanzioni». Si tratta di vedere entro quali limiti e con quali modalità gli
Stati possano intervenire a imporre sanzioni. Come è evidente, è un aspetto par-
ticolarmente delicato, posto che il quadro sanzionatorio così come quello risarci-
torio incidono sensibilmente sulla libertà d’informazione in quanto anche la sola
previsione di misure particolarmente stringenti può costituire un freno alla divul-
gazione di notizie di interesse pubblico. Tale effetto negativo si verifica non solo
nei casi in cui, in uno Stato, le leggi in materia siano adottate con l’obiettivo di
limitare la libertà d’informazione in senso ampio, ma anche nei Paesi la cui legi-
slazione si prefigge una limitazione per obiettivi giusti come la tutela di altri di-
ritti quali la reputazione e il rispetto della vita privata, ma finisce per incidere in
modo negativo sul livello di protezione della libertà d’informazione1.
Se in un ordinamento sono stabilite sanzioni penali come misure detentive e
pecuniarie, è evidente che sia i giornalisti - soprattutto quelli investigativi che
non si rifanno a notizie ufficiali e non hanno alla base documenti pubblici - sia
gli editori - che non intendono rischiare sanzioni economiche elevate - possono
autolimitarsi nell’esercizio del diritto. Con un effetto negativo duplice perché si
compromette l’effettività del diritto alla libertà di espressione e si nega il diritto
di altri individui a ricevere informazioni. Sul punto è stato incisivo il Relatore
speciale del Consiglio per i diritti umani sulla libertà di espressione che, nel
rapporto del 4 giugno 2012, ha rilevato che la presenza di leggi che prevedono
misure detentive o ammende molto onerose compromette la libertà di stampa
perché «... the mere use of such “judicial harassment” generates a climate of fear
and a “chilling effect” which encourages self- censorship»2.
Ora, non pare dubbio che la previsione di doveri e responsabilità negli atti
internazionali, seppure in diverse forme, implichi che, nell’esercizio del diritto di
informare, il giornalista che agisca in contrasto con le restrizioni ammissibili,
funzionali a garantire altri diritti, debba subirne le conseguenze. Peraltro, per
consentire l’effettiva applicazione del diritto alla libertà di espressione e della
collettività di ricevere informazioni, è indispensabile che le misure siano previste
per legge, compatibili con le regole internazionali in materia di diritti dell’uomo
e che le stesse non producano un chilling effect sull’attività di coloro che hanno
il compito di informare, così rispettando il reale fine delle sanzioni che è quello
di tutelare altri diritti. Siffatto effetto negativo può verificarsi con la semplice
previsione di leggi punitive che possono intimorire il giornalista. La previsione
del carcere nei casi di diffamazione a mezzo stampa comporta, inevitabilmente,
1 LOUCAIDES L.G., Libertà di espressione e diritto alla reputazione, in Riv. dir. int. uomo,
2002, p. 9 ss.
2 Doc. A/HRC/20/17, par. 53, reperibile nel sito http://www.ohchr.org.
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che il giornalista, salvo nei casi di documenti ufficiali (e, non di rado, anche in
questi casi) possa astenersi dal divulgare notizie di interesse pubblico, ma scot-
tanti, soprattutto nelle situazioni in cui le informazioni coinvolgano membri del
governo e politici in generale. D’altra parte, non sono pochi i casi in cui gli Stati
adottano queste azioni per intimorire la stampa. Il Comitato dei diritti dell’uomo,
nelle constatazioni del 26 agosto 2004 (Majuwana Kankanamge c. Sri Lanka)3
si è pronunciato su una comunicazione presentata da un giornalista dello Sri
Lanka che era stato messo sotto inchiesta per alcuni articoli critici nei confronti
di ministri e di alti ufficiali della polizia. Gli atti di accusa nei suoi confronti
pendevano da diversi anni, lasciando il giornalista in uno stato di incertezza e di
timore. Il Comitato, nell’esaminare il caso, ha ritenuto che questa situazione ha
determinato «a chilling effect which unduly restricted the author’s exercise of his
right to freedom of expression», chiedendo allo Stato di rimuovere la violazione
e impedire che in futuro si verifichino analoghe situazioni.
In Francia, fino agli interventi della Corte europea e alla presa di coscienza
della Corte di cassazione che ha tenuto conto delle pronunce internazionali, i
giornalisti avevano difficoltà a difendersi dalle denunce per diffamazione perché
non potevano fornire documenti a propria discolpa per non essere accusati del
reato di recel de violation de secret professional. A seguito della sentenza resa
dalla Corte europea il 21 gennaio 1999 nel caso Fressoz e Roire4, la Cassazione
francese ha modificato gli orientamenti precedenti ritenendo che i giornalisti ac-
cusati di diffamazione possano fornire i documenti a propria discolpa senza in-
correre nel reato indicato, perché la norma non può essere un mezzo che impedi-
sce l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e del diritto alla difesa5. Così,
più di recente, la Corte costituzionale, con sentenza del 20 maggio 2011, n. 2011-
1316, ha ritenuto contrario alla Costituzione l’art. 35 della legge francese sulla
stampa del 29 luglio 1881 che escludeva la possibilità per coloro che erano accu-
sati di diffamazione di discolparsi fornendo la prova di fatti che risalivano ad
oltre dieci anni prima. Questa scelta che certamente poneva l’accusato in una
situazione di svantaggio costituiva una limitazione della libertà di espressione
3 Comunicazione n. 909/2000, CCPR/C/81/D/909/2000, par. 9.4, nel sito http://www2.
ohchr.org.
4 Ricorso n. 29183/95.
5 La sentenza dell’11 giugno 2002 è in Rev. science crim., 2002, p. 619 ss. Si veda DE LAMY
B., Les droits de la défence, cause de justification autonome, in Rec. Dalloz, 2004, p. 317 ss. La
sentenza, però, non ha inciso sul reato di ricettazione di documenti istruttori, ma si è consolidata.
Di recente, con sentenza del 6 marzo 2012 n. E-11-80.801 (nel sito http://www.legifrance.gouv.
fr), la Cassazione, sezione penale, ha annullato la condanna di un giornalista de «L’Equipe» che
aveva pubblicato alcuni dati sulla salute di un atleta e che era stato condannato dalla Corte di
Appello per recel de violation de secret professional. La Cassazione ha richiamato anche la Con-
venzione europea per annullare la pronuncia di appello.
6 Reperibile nel sito http://www.conseil-constitutionnel.fr/.

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